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aprile 1872 L’inizio della seconda vita di Giuseppe Mazzini Con la sua dipartita,
il 10 marzo del 1872, Giuseppe Mazzini iniziava una nuova vita di cui non
sarebbe stato più il legittimo proprietario. Succede alle grandi personalità
della storia, per cui la propria individualità non
può restare consegnata nelle semplici date che caratterizzano un’esistenza
dalla nascita alla morte. Il primo torto glielo fecero per eccesso di amore
ed anche per un qualche interesse più volgare, gli stessi repubblicani. Pur
sapendo quanto egli fosse contrario, questi decisero
di intraprendere un processo di imbalsamazione delle sue spoglie in modo da
poter esibirne il corpo al popolo a cui Mazzini si era sempre rivolto. La
bara di Mazzini fu trascinata in lungo in largo per l’Italia, e persino i
treni che la ospitavano erano presi d’assalto dalla folla. Fu un primo errore
fatale, perché in questa maniera invece di preoccuparsi di diffondere il
pensiero del maestro, profondo complesso, a volte oscuro, si perse tempo a
cercare di conservarne il corpo che comunque non avrebbe resistito molto a
lungo. La popolazione italiana in effetti accorse
numerosa per assistere agli eventi in cui il cadavere di Mazzini veniva
esposto pubblicamente, mentre i suoi nemici, che erano tanti, si attrezzarono
mirabilmente per denigrarne l’opera o confutarla. Così se i repubblicani
svuotavano la carcassa, marxisti, monarchici e papalini si sbarazzavano delle
idee. Non c’è da stupirsi se uno dei più grandi filosofi del Regno, Giovanni
Gentile, di Mazzini prese solo alcuni pezzi. Lo
spirito religioso, il sacrificio patriottico, il senso del dovere,
tralasciando quasi del tutto la questione democratica
che pure era il cuore pulsante dell’apostolato mazziniano. Guardate ad
esempio la costituzione della Repubblica Romana. I poteri del governo vengono assegnati interamente dall’assemblea ai tre
consoli, tanto che è facile immaginare un sospetto dittatoriale. Ma i tre
consoli non possono restare in carica per una durata superiore ai tre anni e
non sono rieleggibili. Mussolini l’unico console che
Gentile servì, restò in sella vent’anni. Quando Italo Balbo, che era di
formazione mazziniana, propose al Duce, nel momento massimo del consenso del
regime, di indire nuovamente le elezioni, da lì a poco venne
abbattuto nei cieli dalla sua stessa contraerea. Per Gramsci, Mazzini divenne
semplicemente l’ostacolo principale del processo risorgimentale. Velleitario,
confuso, sognatore, incapace di qualsiasi azione di successo. Una sciagura
ambulante per l’Italia tutta, secondo il giudizio del capo comunista.
Benedetto Croce, più equilibrato nel suo giudizio, non poteva certo seguire
tale analisi, ma messo alle strette, riconosceva che
fra Marx e Mazzini, non ci fosse dubbio che il primo fosse più moderno del
secondo. Drammatica circostanza voler valutare attraverso presunti criteri di
modernità il pensiero degli uomini. Alessandro Galante Garrone, ad esempio, verrà risucchiato nel medesimo errore, perché pur
riconoscendo il valore della testimonianza ideale di Mazzini, lo ritiene
arretrato nel cogliere l’aspetto sociale dell’Italia industrializzata. In
pratica, Mazzini sbagliava a non rendersi conto del fattore comportato dalla
lotta di classe. Mazzini infatti rifiutava questa
divisione divenuta così ricorrente, ma non perché incapace di cogliere il
nuovo, piuttosto era preoccupato, e tanto, della divisione che si creava nel
popolo, una volta posta la frattura radicale fra borghesia e proletariato.
L’associazionismo mazziniano era una risposta utile a salvaguardarne l’unità,
il contrario di una arretratezza. Mazzini,
realisticamente, comprendeva la necessità di non creare barriere all’interno
di una nazione se si volevano raggiungere degli obiettivi di autonomia e di
forza, conoscendo bene la rivoluzione francese, egli voleva evitarne gli
aspetti di guerra civile che avrebbero indebolito la repubblica. Quando il
fascismo divenne repubblicano nell’epilogo miserevole della Repubblica di
Salò, “il Popolo d’Italia”, titolò “Torna Mazzini”, è questo fu come un colpo
di grazia. A Togliatti fu facile, a liberazione avvenuta, liquidare Mazzini
come “precursore del fascismo” e tanto sarebbe bastato per riporlo in
soffitta e sostituirlo con un italianissimo “Carlo” Marx, il suo più risoluto
avversario. Mazzini nei suoi ultimi giorni a Pisa, ospite dei suoi amici più
fidati, straniero in patria, sotto falso nome, braccato dalla polizia del
Regno, aveva maturato il sentore della sconfitta politica avvenuta con la
caduta di Roma nel 1849. Le delusioni erano state tante, e così gli affetti
che lo avevano abbandonato da Orsini, a Crispi e persino il generale
Garibaldi, per non parlare dei giovanissimi caduti in nome del suo stesso
ideale. Difficile che non si rendesse conto degli errori compiuti e dalla
china avversa presa dagli eventi. Sarebbe stato facile bollarlo come un vinto
della storia. Eppure Mazzini era riuscito a scuotere un mondo nelle sue
fondamente, a gettare un germe nel terreno per convincere milioni di uomini
nei paesi più lontani, Herzen in Russia, che si sarebbe
sempre dovuto lottare per aspirare a qualcosa di cui l’umanità non
avrebbe mai potuto fare a meno. La propria indipendenza, la propria libertà. Roma, 10 marzo 2015 |
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